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musica

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i cani

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i cani

post mortem

post mortem

post mortem

Parto con una premessa: non aspettavo questo disco da 9 anni. Lo aspettavo da molto meno, forse 3 o 4, ma comunque solo recentemente sono riuscito a capire quante canzoni devastanti abbia scritto Niccolò Contessa. Vi dico anche subito, che sì, anche questo è un disco de ‘i cani’ e come tutti gli altri è una mina. Diverso, certo, perché ci sono sonorità diverse rispetto agli altri tre, ma è anche giusto che sia così, sono passati 9 anni dopotutto.



Prima di andare ad analizzare le tracce di questo album vorrei solo aggiungere che ancora una volta ci hanno insegnato come si fa la musica indie che suona pop, ma senza lesinare sulla qualità. Prima di tutto, come ha detto Contessa stesso, non era stato programmata un’assenza così lunga. Il fatto di uscire senza preavviso, poi ha fatto sì che l’hype non si mangiasse il prodotto creando aspettative troppo alte, è uscito, nessuno se l’aspettava, quantomeno eravamo tutti contenti, poi che ci sia piaciuto o meno è un altro discorso, sicuramente non averne parlato per settimane prima del rilascio ufficiale ha aiutato a farcelo piacere.


Sono abbastanza convinto del fatto che questo disco non sia uscito prima perché Niccolò vive la musica de i cani come arte, come strumento per sfogarsi e non tanto come lavoro. Comunque ha curato anche progetti di altri che sicuramente gli hanno fatto fare bei soldi, ma i suoi progetti, quelli che portano la firma ‘i cani', ci tiene a farli al meglio. 

E per questo prima di aver abbastanza materiale da poterci fare un disco, ha dovuto vivere, provare emozioni e trovare il modo di raccontarle. Anche questa volta parla di sè, ma parla anche di problematiche molto comuni, spesso universali. Okay le canzoni d’amore sofferto che tra l’altro ha dimostrato più volte di saperle fare forse meglio di chiunque altro, ma io ho 26 anni, i problemi della mia sono altri adesso. Non mi interessa sentire un’altra canzone d’amore fine a se stessa scritta tra una scopata e l’altra. Io inizio a sentire che il tempo scorre, che sto invecchiando, che stanno invecchiando le persone intorno a me, non ho più un lavoro e trovarne un altro è un’agonia, la situazione geopolitica attuale è più che preoccupante. Di questo vorrei sentire parlare nelle canzoni. Perché come dice lui in una canzone di ormai più di 10 anni fa:



“Da quando ho un tour e un lavoro e la gente che amo sta male

Io da solo non ci riesco più

E non è avere vent'anni, e non è avere gli esami

Fidati, è qualcosa in più”


Appena parte “io”, la prima traccia del disco, al primo ascolto, se si è fan della band non si può non notare che il sound è quantomeno diverso da quello a cui ci avevano abituato. Molto più cupo, prima le canzoni erano tristi da tagliarsi le vene, ma avevano un ritmo allegro e si facevano canticchiare. Con ‘io’ subito si fa capire quindi in che direzione si andrà. Ci sono anche canzone più simili alle vecchie canzoni de i cani, ma a livello il percepito è che ci troviamo di fronte ad un prodotto nuovo, ma soprattutto diverso.



Come dicevo, l’album si apre con “io” una canzone dal ritmo molto delicato ma dal testo molto violento. È come la chiacchierata con quel tuo amico che non ha paura di dirti le cose in faccia e ti fa notare che tutte le cose di cui ti stai lamentando alla fine sono colpa tua. Una sorta di rivendicazione delle nostre responsabilità su quanto ci accade. Ci vedo un po’ di nichilismo Nietzschiano ed è proprio per questo che mi piace così tanto. 



Dopo questo brano incredibile c’è quello che a me è piaciuto meno del disco insieme a “nella parte del mondo in cui sono nato”, sto parlando di “buco nero”. Sono due brani un po’ troppo Tutti Fenomeni. Come vi dicevo nella prima mail della newsletter dell’anno scorso, Contessa è stato direttore artistico di entrambi i dischi di Tutti Fenomeni e questo si sente molto bene proprio in queste due canzoni. Quindi, non è che siano bocciate per me, semplicemente non sono troppo nel mio mood attuale. Un po’ anche “f.c.f.t.” è su questa falsariga, ma la apprezzo di più non so bene perché. 



“Colpo di tosse” invece sembra essere la loro hit di questo disco, un pezzo fatto un po’ come quelli a cui eravamo abituati, sinceramente non lo reputo il migliore, ma capisco perché sia piaciuto così tanto. È molto orecchiabile e più leggero degli altri, almeno all’apparenza. 



In “Davos” ho trovato un’altra tematica a me molto cara, che è un po’ il concetto che ognuno soffre e gioisce in base a ciò che vive. È inutile paragonare i problemi del primo mondo con la fame nel mondo o la morte di un proprio caro con il cuore spezzato di un adolescente, ognuno in quel momento penserà “così non va”. 


Con “colpevole” cercano di comunicarci quella sensazione che (spero) abbiamo un po’ tutti, ovvero che non stiamo facendo abbastanza per migliorare il mondo o quantomeno per farlo aderire di più all’immagine che abbiamo noi di un mondo migliore. Nonostante tutti gli sforzi e le piccole azioni, non stiamo cambiando assolutamente nulla. È tutto a somma zero. È un po’ quello che provo ogni volta che vado a fare la spesa e dopo aver preso il tofu e la verdura nei sacchetti biodegradabili, il signore davanti a me ha comprato carne per un esercito, tutta rigorosamente con vaschetta di polistirolo e pellicola trasparente.


Fare la title track strumentale in un disco tutto parlato, mi sembra un po’ una paraculata edgy, ma temo che non avrò mai la conferma di questa cosa visto che Contessa si rifiuta di spiegare le sue canzoni.



Nella seconda metà dell’album ci sono le 3 canzoni che preferisco, quindi le lascerò per ultime.



“Madre” è un pezzaccio clamoroso, non entra nella top 3 solo perché non l’ho capito fino in fondo, si parla di nascita, di maternità, di rapporto madre e figlio, di peccato originale e tanto altro, forse un po’ troppo e in maniera un po’ troppo vaga perché io posso attaccare un pippone ad un mio amico su quanto sia bella questa canzone. 



Con “Buio” ci raccontano di quanto il superare la paura del buio, che può essere benissimo una metafora del “rischiare” o dell’uscire dagli schemi, sia poi la chiave per una vita piena, che sia di amore o di felicità. Se ci limitiamo a fare sempre le stesse cose, finiamo un po’ per spegnerci e rintanarci nella nostra cameretta illuminata mentre lasciamo tutto il resto al buio. Un’oscurità che si mangia tutto ciò che scegliamo di trascurare.



Ed eccoci qua con le mie 3 canzoni preferite di questo disco, andrò in ordine di come sono in tracklist e non di preferenza.

“felice” è una di quelle canzoni che ti si infilano sottopelle con quella musicalità orecchiabile e ti fa tornare in mente durante la giornata alcune frasi alle quali dai ogni volta un significato diverso. Un po’ come quando recuperi i dettagli di un sogno durante il giorno e per quanto le cose siano assurde e scollegate tra loro ti viene voglia di fare un rewind e riviverlo per vedere se ti ricordi bene. Per fortuna questa canzone incredibile però si può riascoltare tutte le volte che si vuole. 

A volte, la felicità si manifesta nei modi più inaspettati e nel mondo di oggi sembra che non siamo più abituati, quindi quando poi proviamo questo sentimento ci domandiamo se sia autentico. “Credo di essere felice” infatti è il ritornello, ma le strofe contrappongono sempre una situazione triste e una felice. Mi spiego meglio, il “cane che guaisce” crede di essere in punizione ma è anche molto più felice di un essere umano perché non deve pensare a tutte le cose da umano come le tasse, il lavoro, la politica, la cronaca nera, ecc.

Oppure il nostro Gregor Samsa, che trasformato in insetto e con una mela conficcata nel torso, rintanatosi dalla vergogna sotto il divano, scorge un momento di felicità nell’osservare la sorella che suona il violino.

C’è anche una citazione a un romanzo di Thomas Mann e una ad un film di Tarkosvkij. Ma non sarà questo il posto dove potrete farvi le pippe su queste cose.



La mazzata forse più grande me l’ha data “carbone”, la prima volta che l’ho ascoltata bene mi ha ucciso per la crudezza del suo messaggio, ma mi ha stupito per la dolcezza nella maniera in cui è veicolato. Questa coppia che non si ama più, stanno insieme solo perché ormai fa parte dell’ordine delle cose, è più una relazione di comodo che sentimentale. Vengono consumati da questo fuoco che li consuma, “come legna che diventa carbone”. Non è una cosa che si nota dall’oggi al domani, è una cosa che cresce lentamente. Non so quanto ne sapete di fuochi o di camini, ma non è difficile immaginarsi che i carboni ardenti facciano una fiamma molto meno pronunciata di un ceppo va a fuoco. La fiamma, che spesso è usata come metafora per parlare dell’ardore del desiderio di stare con un’altra persona, qua potrebbe sembrare che sia quello che consuma la relazione, ma non è così. Se ci pensate, basterebbe soffiare un po’ sui carboni ardenti per far ripartire il fuoco e quindi anche il desiderio di passare del tempo con l’altra persona. Mi piace molto come abbia scelto di usare “non ti do mai soddisfazione” come se ormai il rapporto sia diventato una sfida fra i due. Il ritornello è doloroso e inaspettato come una pugnalata che ti arriva da dietro mentre stai camminando in centro



“Perché due sconosciuti insistono?

Chissà perché due sconosciuti

Continuano a chiamarsi amore”



Capolavoro.



L’ultima canzone del disco è “un’altra onda” che ci parla ancora una volta di tante cose, ognuno poi ci vede quello che ci vuole. Se vogliamo attenerci al testo, senza trovarci nessun significato allegorico, si parla di una persona a cui piace tuffarsi nelle onde. Le piace farlo nonostante l’atto in sé sia praticamente una sofferenza totale, con il sale nel naso e l’onda che ti trasporta nel gorgo impedendoti di fare alcunché.
Ecco, sono certo che se vi sforzata un attimo trovate una metafora che calza a pennello con questa situazione. A me in un viaggio in pullman ne sono venute in mente un po’. In ogni caso si tratta di qualcuno a cui piace tantissimo lasciarsi andare, come se in quel momento contasse solo la sua sopravvivenza e quindi sparissero tutti gli altri problemi della sua vita e quando poi riemerge, la scarica di adrenalina gli dà una botta di euforia che lo spinge a volerlo rifare. Potrebbe essere droga, gioco d’azzardo, l’amore, lo sport o qualsiasi altra cosa per voi abbia più senso. 



Alla fine la musica de i cani è questo. Il messaggio parte da un’esigenza comunicativa personale dell’autore, ma che poi viene semplificato nella forma in modo che ognuno possa rivedersi, così ognuno attribuisce alle parole il significato che preferisce e non deve neanche essere lo stesso che aveva pensato l’autore per essere quello giusto. 


Se devo tirare le somme vi dico che è un album pazzesco, non si può dire il contrario. Ribadisco, come detto più volte nella newsletter, che è così che dovrebbe essere il pop secondo me. Canzoni dal ritmo leggero, canticchiabili, che se passano in radio ti strappano un sorriso, ma se ti metti lì un attimo ad ascoltare, ti ritrovi a scavare dentro di te per capire cosa sta cercando di dirti qualcuno che molto probabilmente neanche conosci.

Parto con una premessa: non aspettavo questo disco da 9 anni. Lo aspettavo da molto meno, forse 3 o 4, ma comunque solo recentemente sono riuscito a capire quante canzoni devastanti abbia scritto Niccolò Contessa. Vi dico anche subito, che sì, anche questo è un disco de ‘i cani’ e come tutti gli altri è una mina. Diverso, certo, perché ci sono sonorità diverse rispetto agli altri tre, ma è anche giusto che sia così, sono passati 9 anni dopotutto.



Prima di andare ad analizzare le tracce di questo album vorrei solo aggiungere che ancora una volta ci hanno insegnato come si fa la musica indie che suona pop, ma senza lesinare sulla qualità. Prima di tutto, come ha detto Contessa stesso, non era stato programmata un’assenza così lunga. Il fatto di uscire senza preavviso, poi ha fatto sì che l’hype non si mangiasse il prodotto creando aspettative troppo alte, è uscito, nessuno se l’aspettava, quantomeno eravamo tutti contenti, poi che ci sia piaciuto o meno è un altro discorso, sicuramente non averne parlato per settimane prima del rilascio ufficiale ha aiutato a farcelo piacere.


Sono abbastanza convinto del fatto che questo disco non sia uscito prima perché Niccolò vive la musica de i cani come arte, come strumento per sfogarsi e non tanto come lavoro. Comunque ha curato anche progetti di altri che sicuramente gli hanno fatto fare bei soldi, ma i suoi progetti, quelli che portano la firma ‘i cani', ci tiene a farli al meglio. 

E per questo prima di aver abbastanza materiale da poterci fare un disco, ha dovuto vivere, provare emozioni e trovare il modo di raccontarle. Anche questa volta parla di sè, ma parla anche di problematiche molto comuni, spesso universali. Okay le canzoni d’amore sofferto che tra l’altro ha dimostrato più volte di saperle fare forse meglio di chiunque altro, ma io ho 26 anni, i problemi della mia sono altri adesso. Non mi interessa sentire un’altra canzone d’amore fine a se stessa scritta tra una scopata e l’altra. Io inizio a sentire che il tempo scorre, che sto invecchiando, che stanno invecchiando le persone intorno a me, non ho più un lavoro e trovarne un altro è un’agonia, la situazione geopolitica attuale è più che preoccupante. Di questo vorrei sentire parlare nelle canzoni. Perché come dice lui in una canzone di ormai più di 10 anni fa:



“Da quando ho un tour e un lavoro e la gente che amo sta male

Io da solo non ci riesco più

E non è avere vent'anni, e non è avere gli esami

Fidati, è qualcosa in più”


Appena parte “io”, la prima traccia del disco, al primo ascolto, se si è fan della band non si può non notare che il sound è quantomeno diverso da quello a cui ci avevano abituato. Molto più cupo, prima le canzoni erano tristi da tagliarsi le vene, ma avevano un ritmo allegro e si facevano canticchiare. Con ‘io’ subito si fa capire quindi in che direzione si andrà. Ci sono anche canzone più simili alle vecchie canzoni de i cani, ma a livello il percepito è che ci troviamo di fronte ad un prodotto nuovo, ma soprattutto diverso.



Come dicevo, l’album si apre con “io” una canzone dal ritmo molto delicato ma dal testo molto violento. È come la chiacchierata con quel tuo amico che non ha paura di dirti le cose in faccia e ti fa notare che tutte le cose di cui ti stai lamentando alla fine sono colpa tua. Una sorta di rivendicazione delle nostre responsabilità su quanto ci accade. Ci vedo un po’ di nichilismo Nietzschiano ed è proprio per questo che mi piace così tanto. 



Dopo questo brano incredibile c’è quello che a me è piaciuto meno del disco insieme a “nella parte del mondo in cui sono nato”, sto parlando di “buco nero”. Sono due brani un po’ troppo Tutti Fenomeni. Come vi dicevo nella prima mail della newsletter dell’anno scorso, Contessa è stato direttore artistico di entrambi i dischi di Tutti Fenomeni e questo si sente molto bene proprio in queste due canzoni. Quindi, non è che siano bocciate per me, semplicemente non sono troppo nel mio mood attuale. Un po’ anche “f.c.f.t.” è su questa falsariga, ma la apprezzo di più non so bene perché. 



“Colpo di tosse” invece sembra essere la loro hit di questo disco, un pezzo fatto un po’ come quelli a cui eravamo abituati, sinceramente non lo reputo il migliore, ma capisco perché sia piaciuto così tanto. È molto orecchiabile e più leggero degli altri, almeno all’apparenza. 



In “Davos” ho trovato un’altra tematica a me molto cara, che è un po’ il concetto che ognuno soffre e gioisce in base a ciò che vive. È inutile paragonare i problemi del primo mondo con la fame nel mondo o la morte di un proprio caro con il cuore spezzato di un adolescente, ognuno in quel momento penserà “così non va”. 


Con “colpevole” cercano di comunicarci quella sensazione che (spero) abbiamo un po’ tutti, ovvero che non stiamo facendo abbastanza per migliorare il mondo o quantomeno per farlo aderire di più all’immagine che abbiamo noi di un mondo migliore. Nonostante tutti gli sforzi e le piccole azioni, non stiamo cambiando assolutamente nulla. È tutto a somma zero. È un po’ quello che provo ogni volta che vado a fare la spesa e dopo aver preso il tofu e la verdura nei sacchetti biodegradabili, il signore davanti a me ha comprato carne per un esercito, tutta rigorosamente con vaschetta di polistirolo e pellicola trasparente.


Fare la title track strumentale in un disco tutto parlato, mi sembra un po’ una paraculata edgy, ma temo che non avrò mai la conferma di questa cosa visto che Contessa si rifiuta di spiegare le sue canzoni.



Nella seconda metà dell’album ci sono le 3 canzoni che preferisco, quindi le lascerò per ultime.



“Madre” è un pezzaccio clamoroso, non entra nella top 3 solo perché non l’ho capito fino in fondo, si parla di nascita, di maternità, di rapporto madre e figlio, di peccato originale e tanto altro, forse un po’ troppo e in maniera un po’ troppo vaga perché io posso attaccare un pippone ad un mio amico su quanto sia bella questa canzone. 



Con “Buio” ci raccontano di quanto il superare la paura del buio, che può essere benissimo una metafora del “rischiare” o dell’uscire dagli schemi, sia poi la chiave per una vita piena, che sia di amore o di felicità. Se ci limitiamo a fare sempre le stesse cose, finiamo un po’ per spegnerci e rintanarci nella nostra cameretta illuminata mentre lasciamo tutto il resto al buio. Un’oscurità che si mangia tutto ciò che scegliamo di trascurare.



Ed eccoci qua con le mie 3 canzoni preferite di questo disco, andrò in ordine di come sono in tracklist e non di preferenza.

“felice” è una di quelle canzoni che ti si infilano sottopelle con quella musicalità orecchiabile e ti fa tornare in mente durante la giornata alcune frasi alle quali dai ogni volta un significato diverso. Un po’ come quando recuperi i dettagli di un sogno durante il giorno e per quanto le cose siano assurde e scollegate tra loro ti viene voglia di fare un rewind e riviverlo per vedere se ti ricordi bene. Per fortuna questa canzone incredibile però si può riascoltare tutte le volte che si vuole. 

A volte, la felicità si manifesta nei modi più inaspettati e nel mondo di oggi sembra che non siamo più abituati, quindi quando poi proviamo questo sentimento ci domandiamo se sia autentico. “Credo di essere felice” infatti è il ritornello, ma le strofe contrappongono sempre una situazione triste e una felice. Mi spiego meglio, il “cane che guaisce” crede di essere in punizione ma è anche molto più felice di un essere umano perché non deve pensare a tutte le cose da umano come le tasse, il lavoro, la politica, la cronaca nera, ecc.

Oppure il nostro Gregor Samsa, che trasformato in insetto e con una mela conficcata nel torso, rintanatosi dalla vergogna sotto il divano, scorge un momento di felicità nell’osservare la sorella che suona il violino.

C’è anche una citazione a un romanzo di Thomas Mann e una ad un film di Tarkosvkij. Ma non sarà questo il posto dove potrete farvi le pippe su queste cose.



La mazzata forse più grande me l’ha data “carbone”, la prima volta che l’ho ascoltata bene mi ha ucciso per la crudezza del suo messaggio, ma mi ha stupito per la dolcezza nella maniera in cui è veicolato. Questa coppia che non si ama più, stanno insieme solo perché ormai fa parte dell’ordine delle cose, è più una relazione di comodo che sentimentale. Vengono consumati da questo fuoco che li consuma, “come legna che diventa carbone”. Non è una cosa che si nota dall’oggi al domani, è una cosa che cresce lentamente. Non so quanto ne sapete di fuochi o di camini, ma non è difficile immaginarsi che i carboni ardenti facciano una fiamma molto meno pronunciata di un ceppo va a fuoco. La fiamma, che spesso è usata come metafora per parlare dell’ardore del desiderio di stare con un’altra persona, qua potrebbe sembrare che sia quello che consuma la relazione, ma non è così. Se ci pensate, basterebbe soffiare un po’ sui carboni ardenti per far ripartire il fuoco e quindi anche il desiderio di passare del tempo con l’altra persona. Mi piace molto come abbia scelto di usare “non ti do mai soddisfazione” come se ormai il rapporto sia diventato una sfida fra i due. Il ritornello è doloroso e inaspettato come una pugnalata che ti arriva da dietro mentre stai camminando in centro



“Perché due sconosciuti insistono?

Chissà perché due sconosciuti

Continuano a chiamarsi amore”



Capolavoro.



L’ultima canzone del disco è “un’altra onda” che ci parla ancora una volta di tante cose, ognuno poi ci vede quello che ci vuole. Se vogliamo attenerci al testo, senza trovarci nessun significato allegorico, si parla di una persona a cui piace tuffarsi nelle onde. Le piace farlo nonostante l’atto in sé sia praticamente una sofferenza totale, con il sale nel naso e l’onda che ti trasporta nel gorgo impedendoti di fare alcunché.
Ecco, sono certo che se vi sforzata un attimo trovate una metafora che calza a pennello con questa situazione. A me in un viaggio in pullman ne sono venute in mente un po’. In ogni caso si tratta di qualcuno a cui piace tantissimo lasciarsi andare, come se in quel momento contasse solo la sua sopravvivenza e quindi sparissero tutti gli altri problemi della sua vita e quando poi riemerge, la scarica di adrenalina gli dà una botta di euforia che lo spinge a volerlo rifare. Potrebbe essere droga, gioco d’azzardo, l’amore, lo sport o qualsiasi altra cosa per voi abbia più senso. 



Alla fine la musica de i cani è questo. Il messaggio parte da un’esigenza comunicativa personale dell’autore, ma che poi viene semplificato nella forma in modo che ognuno possa rivedersi, così ognuno attribuisce alle parole il significato che preferisce e non deve neanche essere lo stesso che aveva pensato l’autore per essere quello giusto. 


Se devo tirare le somme vi dico che è un album pazzesco, non si può dire il contrario. Ribadisco, come detto più volte nella newsletter, che è così che dovrebbe essere il pop secondo me. Canzoni dal ritmo leggero, canticchiabili, che se passano in radio ti strappano un sorriso, ma se ti metti lì un attimo ad ascoltare, ti ritrovi a scavare dentro di te per capire cosa sta cercando di dirti qualcuno che molto probabilmente neanche conosci.

Parto con una premessa: non aspettavo questo disco da 9 anni. Lo aspettavo da molto meno, forse 3 o 4, ma comunque solo recentemente sono riuscito a capire quante canzoni devastanti abbia scritto Niccolò Contessa. Vi dico anche subito, che sì, anche questo è un disco de ‘i cani’ e come tutti gli altri è una mina. Diverso, certo, perché ci sono sonorità diverse rispetto agli altri tre, ma è anche giusto che sia così, sono passati 9 anni dopotutto.



Prima di andare ad analizzare le tracce di questo album vorrei solo aggiungere che ancora una volta ci hanno insegnato come si fa la musica indie che suona pop, ma senza lesinare sulla qualità. Prima di tutto, come ha detto Contessa stesso, non era stato programmata un’assenza così lunga. Il fatto di uscire senza preavviso, poi ha fatto sì che l’hype non si mangiasse il prodotto creando aspettative troppo alte, è uscito, nessuno se l’aspettava, quantomeno eravamo tutti contenti, poi che ci sia piaciuto o meno è un altro discorso, sicuramente non averne parlato per settimane prima del rilascio ufficiale ha aiutato a farcelo piacere.


Sono abbastanza convinto del fatto che questo disco non sia uscito prima perché Niccolò vive la musica de i cani come arte, come strumento per sfogarsi e non tanto come lavoro. Comunque ha curato anche progetti di altri che sicuramente gli hanno fatto fare bei soldi, ma i suoi progetti, quelli che portano la firma ‘i cani', ci tiene a farli al meglio. 

E per questo prima di aver abbastanza materiale da poterci fare un disco, ha dovuto vivere, provare emozioni e trovare il modo di raccontarle. Anche questa volta parla di sè, ma parla anche di problematiche molto comuni, spesso universali. Okay le canzoni d’amore sofferto che tra l’altro ha dimostrato più volte di saperle fare forse meglio di chiunque altro, ma io ho 26 anni, i problemi della mia sono altri adesso. Non mi interessa sentire un’altra canzone d’amore fine a se stessa scritta tra una scopata e l’altra. Io inizio a sentire che il tempo scorre, che sto invecchiando, che stanno invecchiando le persone intorno a me, non ho più un lavoro e trovarne un altro è un’agonia, la situazione geopolitica attuale è più che preoccupante. Di questo vorrei sentire parlare nelle canzoni. Perché come dice lui in una canzone di ormai più di 10 anni fa:



“Da quando ho un tour e un lavoro e la gente che amo sta male

Io da solo non ci riesco più

E non è avere vent'anni, e non è avere gli esami

Fidati, è qualcosa in più”


Appena parte “io”, la prima traccia del disco, al primo ascolto, se si è fan della band non si può non notare che il sound è quantomeno diverso da quello a cui ci avevano abituato. Molto più cupo, prima le canzoni erano tristi da tagliarsi le vene, ma avevano un ritmo allegro e si facevano canticchiare. Con ‘io’ subito si fa capire quindi in che direzione si andrà. Ci sono anche canzone più simili alle vecchie canzoni de i cani, ma a livello il percepito è che ci troviamo di fronte ad un prodotto nuovo, ma soprattutto diverso.



Come dicevo, l’album si apre con “io” una canzone dal ritmo molto delicato ma dal testo molto violento. È come la chiacchierata con quel tuo amico che non ha paura di dirti le cose in faccia e ti fa notare che tutte le cose di cui ti stai lamentando alla fine sono colpa tua. Una sorta di rivendicazione delle nostre responsabilità su quanto ci accade. Ci vedo un po’ di nichilismo Nietzschiano ed è proprio per questo che mi piace così tanto. 



Dopo questo brano incredibile c’è quello che a me è piaciuto meno del disco insieme a “nella parte del mondo in cui sono nato”, sto parlando di “buco nero”. Sono due brani un po’ troppo Tutti Fenomeni. Come vi dicevo nella prima mail della newsletter dell’anno scorso, Contessa è stato direttore artistico di entrambi i dischi di Tutti Fenomeni e questo si sente molto bene proprio in queste due canzoni. Quindi, non è che siano bocciate per me, semplicemente non sono troppo nel mio mood attuale. Un po’ anche “f.c.f.t.” è su questa falsariga, ma la apprezzo di più non so bene perché. 



“Colpo di tosse” invece sembra essere la loro hit di questo disco, un pezzo fatto un po’ come quelli a cui eravamo abituati, sinceramente non lo reputo il migliore, ma capisco perché sia piaciuto così tanto. È molto orecchiabile e più leggero degli altri, almeno all’apparenza. 



In “Davos” ho trovato un’altra tematica a me molto cara, che è un po’ il concetto che ognuno soffre e gioisce in base a ciò che vive. È inutile paragonare i problemi del primo mondo con la fame nel mondo o la morte di un proprio caro con il cuore spezzato di un adolescente, ognuno in quel momento penserà “così non va”. 


Con “colpevole” cercano di comunicarci quella sensazione che (spero) abbiamo un po’ tutti, ovvero che non stiamo facendo abbastanza per migliorare il mondo o quantomeno per farlo aderire di più all’immagine che abbiamo noi di un mondo migliore. Nonostante tutti gli sforzi e le piccole azioni, non stiamo cambiando assolutamente nulla. È tutto a somma zero. È un po’ quello che provo ogni volta che vado a fare la spesa e dopo aver preso il tofu e la verdura nei sacchetti biodegradabili, il signore davanti a me ha comprato carne per un esercito, tutta rigorosamente con vaschetta di polistirolo e pellicola trasparente.


Fare la title track strumentale in un disco tutto parlato, mi sembra un po’ una paraculata edgy, ma temo che non avrò mai la conferma di questa cosa visto che Contessa si rifiuta di spiegare le sue canzoni.



Nella seconda metà dell’album ci sono le 3 canzoni che preferisco, quindi le lascerò per ultime.



“Madre” è un pezzaccio clamoroso, non entra nella top 3 solo perché non l’ho capito fino in fondo, si parla di nascita, di maternità, di rapporto madre e figlio, di peccato originale e tanto altro, forse un po’ troppo e in maniera un po’ troppo vaga perché io posso attaccare un pippone ad un mio amico su quanto sia bella questa canzone. 



Con “Buio” ci raccontano di quanto il superare la paura del buio, che può essere benissimo una metafora del “rischiare” o dell’uscire dagli schemi, sia poi la chiave per una vita piena, che sia di amore o di felicità. Se ci limitiamo a fare sempre le stesse cose, finiamo un po’ per spegnerci e rintanarci nella nostra cameretta illuminata mentre lasciamo tutto il resto al buio. Un’oscurità che si mangia tutto ciò che scegliamo di trascurare.



Ed eccoci qua con le mie 3 canzoni preferite di questo disco, andrò in ordine di come sono in tracklist e non di preferenza.

“felice” è una di quelle canzoni che ti si infilano sottopelle con quella musicalità orecchiabile e ti fa tornare in mente durante la giornata alcune frasi alle quali dai ogni volta un significato diverso. Un po’ come quando recuperi i dettagli di un sogno durante il giorno e per quanto le cose siano assurde e scollegate tra loro ti viene voglia di fare un rewind e riviverlo per vedere se ti ricordi bene. Per fortuna questa canzone incredibile però si può riascoltare tutte le volte che si vuole. 

A volte, la felicità si manifesta nei modi più inaspettati e nel mondo di oggi sembra che non siamo più abituati, quindi quando poi proviamo questo sentimento ci domandiamo se sia autentico. “Credo di essere felice” infatti è il ritornello, ma le strofe contrappongono sempre una situazione triste e una felice. Mi spiego meglio, il “cane che guaisce” crede di essere in punizione ma è anche molto più felice di un essere umano perché non deve pensare a tutte le cose da umano come le tasse, il lavoro, la politica, la cronaca nera, ecc.

Oppure il nostro Gregor Samsa, che trasformato in insetto e con una mela conficcata nel torso, rintanatosi dalla vergogna sotto il divano, scorge un momento di felicità nell’osservare la sorella che suona il violino.

C’è anche una citazione a un romanzo di Thomas Mann e una ad un film di Tarkosvkij. Ma non sarà questo il posto dove potrete farvi le pippe su queste cose.



La mazzata forse più grande me l’ha data “carbone”, la prima volta che l’ho ascoltata bene mi ha ucciso per la crudezza del suo messaggio, ma mi ha stupito per la dolcezza nella maniera in cui è veicolato. Questa coppia che non si ama più, stanno insieme solo perché ormai fa parte dell’ordine delle cose, è più una relazione di comodo che sentimentale. Vengono consumati da questo fuoco che li consuma, “come legna che diventa carbone”. Non è una cosa che si nota dall’oggi al domani, è una cosa che cresce lentamente. Non so quanto ne sapete di fuochi o di camini, ma non è difficile immaginarsi che i carboni ardenti facciano una fiamma molto meno pronunciata di un ceppo va a fuoco. La fiamma, che spesso è usata come metafora per parlare dell’ardore del desiderio di stare con un’altra persona, qua potrebbe sembrare che sia quello che consuma la relazione, ma non è così. Se ci pensate, basterebbe soffiare un po’ sui carboni ardenti per far ripartire il fuoco e quindi anche il desiderio di passare del tempo con l’altra persona. Mi piace molto come abbia scelto di usare “non ti do mai soddisfazione” come se ormai il rapporto sia diventato una sfida fra i due. Il ritornello è doloroso e inaspettato come una pugnalata che ti arriva da dietro mentre stai camminando in centro



“Perché due sconosciuti insistono?

Chissà perché due sconosciuti

Continuano a chiamarsi amore”



Capolavoro.



L’ultima canzone del disco è “un’altra onda” che ci parla ancora una volta di tante cose, ognuno poi ci vede quello che ci vuole. Se vogliamo attenerci al testo, senza trovarci nessun significato allegorico, si parla di una persona a cui piace tuffarsi nelle onde. Le piace farlo nonostante l’atto in sé sia praticamente una sofferenza totale, con il sale nel naso e l’onda che ti trasporta nel gorgo impedendoti di fare alcunché.
Ecco, sono certo che se vi sforzata un attimo trovate una metafora che calza a pennello con questa situazione. A me in un viaggio in pullman ne sono venute in mente un po’. In ogni caso si tratta di qualcuno a cui piace tantissimo lasciarsi andare, come se in quel momento contasse solo la sua sopravvivenza e quindi sparissero tutti gli altri problemi della sua vita e quando poi riemerge, la scarica di adrenalina gli dà una botta di euforia che lo spinge a volerlo rifare. Potrebbe essere droga, gioco d’azzardo, l’amore, lo sport o qualsiasi altra cosa per voi abbia più senso. 



Alla fine la musica de i cani è questo. Il messaggio parte da un’esigenza comunicativa personale dell’autore, ma che poi viene semplificato nella forma in modo che ognuno possa rivedersi, così ognuno attribuisce alle parole il significato che preferisce e non deve neanche essere lo stesso che aveva pensato l’autore per essere quello giusto. 


Se devo tirare le somme vi dico che è un album pazzesco, non si può dire il contrario. Ribadisco, come detto più volte nella newsletter, che è così che dovrebbe essere il pop secondo me. Canzoni dal ritmo leggero, canticchiabili, che se passano in radio ti strappano un sorriso, ma se ti metti lì un attimo ad ascoltare, ti ritrovi a scavare dentro di te per capire cosa sta cercando di dirti qualcuno che molto probabilmente neanche conosci.